Se continui a navigare accetterai l'uso della politica cookies di questo sito internet Per saperne di piu'
Discussione. Nel DSM-5 (5a edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) non fa più parte dei disturbi d’ansia ma diventa un capitolo a sé stante insieme ai disturbi a esso correlati, come l’escoriazione compulsiva della pelle, la tricotillomania, l’onicofagia ecc. Il DOC è caratterizzato da ossessioni, cioè pensieri che vengono percepiti come sgradevoli dal soggetto, e da compulsioni, cioè azioni ripetitive messe in atto dal soggetto per alleviare il disagio provocato dalle ossessioni; ma le compulsioni non eliminano le ossessioni che si ripetono puntualmente. Le azioni compulsive sono precedute da un sentimento di progressiva eccitazione, agitazione e seguite da una sensazione di momentaneo sollievo o di piacere ma anche da un senso di colpa.
Bisogna notare che il disturbo ossessivo-compulsivo ha una gravità molto diversa: si va da forme lievi, molto frequenti (2) di onicofagia, spesso familiari e quindi da imitazione di quel che il soggetto vede fare da un genitore, a forme gravi con ripercussioni sulla vita sociale e sulla qualità di vita, che richiedono quindi un trattamento. I farmaci più usati in questo campo sono gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, la clomipramina e la N-acetilcisteina (1, 3, 4). Ma questi farmaci hanno dato risultati clinici inferiori alle loro aspettative teoriche (4). Più efficace sembra la terapia comportamentale cognitiva e in particolare la terapia di inversione di abitudine (5), che comprende diversi stadi, in particolare la consapevolezza, il controllo degli stimoli, la risposta competitiva, gli esercizi di rilassamento e il sostegno sociale. Nel primo stadio il paziente deve raggiungere la consapevolezza del suo problema e degli stimoli che generano la reazione ripetitiva; in questo stadio il paziente impara anche a monitorare e registrare i momenti del suo comportamento ripetitivo. In seguito il paziente deve imparare a evitare e controllare gli stimoli che provocano le sue azioni ripetitive. Deve poi imparare a eseguire degli esercizi di rilassamento che diminuiscano agitazione e stress. Bisogna poi suggerire al paziente delle risposte competitive agli stimoli in grado di provocare azione compulsive: per esempio stringere i pugni tenendo le braccia estese lungo i fianchi, battere le mani, sedersi al di sopra delle proprie mani ecc.; è necessaria infine la presenza di una persona di sostegno che gratifichi il soggetto quando esegue correttamente gli stadi elencati e che discuta con lui gli eventuali insuccessi nell’eseguirli.
Abbiamo presentato questo caso perché non abbiamo trovato in letteratura azioni compulsive come quelle messe in atto dalla nostra paziente e per evidenziare le importanti conseguenze psico-sociali di tali azioni.
Queste caratteristiche dei pC li avvicinano ai geloni secondari, soprattutto a quelli che si hanno nelle connettiviti (lupus eritematoso, sindrome antifosfolipidi), in malattie tumorali (leucemia), e ancor più nelle interferonopatie genetiche, come il lupus familiare con geloni da mutazione di TREX1, la SAVI o vasculopatia a esordio infantile associata a geni STING (geni stimolatori dell’interferon), la sindrome di Aicardi-Goutiers. In tutte queste condizioni c’è un’attivazione dell’interferon tipo 1, geneticamente determinata o secondaria alla necessità di eliminare oligonucleotidi non self. L’attivazione dell’interferon tipo 1 induce come effetto collaterale alterazioni microangiopatiche responsabili di geloni secondari.
È ipotizzabile che la presenza di nucleotidi di SARS-CoV-2 stimoli la via di segnalazione dell’interferon 1; ad avvalorare questa ipotesi stanno a) la maggiore frequenza dei pC negli adolescenti, in cui l’immunità innata interferon-mediata è molto più attiva (3); b) le somiglianze istologiche tra geloni delle interferonopatie e pC; c) la dimostrazione recente della presenza della proteina A di resistenza al Mixovirus, un marker tissutale riconosciuto dell’attività dell’interferon 1, nell’epidermide, nelle cellule endoteliali e nell’infiltrato infiammatorio dei pC (5).
L’energica risposta di tipo interferon 1, con la conseguente rapida eliminazione del virus, potrebbe anche spiegare la scarsa o inesistente sintomatologia dell’infezione da SARS-CoV-2 nei pC e la negatività dei tamponi molecolari e dei test sierologici.
Conclusione. Esistono dati clinici e di laboratorio a sostegno dell’ipotesi che i piedi Covid siano dei geloni secondari. Il danno microangiopatico, che nei geloni idiopatici è provocato da un’abnorme sensibilità al freddo, nei piedi COVID sarebbe legata a un’energica risposta di tipo interferon 1, alla pari di quanto succede nelle connettiviti e nelle interferonopatie genetiche.
Tra le malattie acquisite che si distribuiscono lungo le linee di Blaschko ci sono la psoriasi lineare e il lichen striatus: oltre alla stessa distribuzione, legata a una condizione di mosaicismo, sono entrambe malattie infiammatorie acquisite e di solito asintomatiche, creando talora problemi di diagnosi differenziale.
Emangioma infantile (EI) e calazio sono due condizioni molto diverse, ma hanno in comune l’aspetto nodulare e la vasodilatazione; queste comuni caratteristiche possono far sorgere talora dei problemi di diagnosi differenziale, specialmente quando l’EI è situato profondamente.